Dario, Addiopizzo Travel, il lavoro e la legalità

Vincenzo Moretti sul suo blog #lavorobenfatto de "Il Sole 24 Ore", pubblica un articolo su di noi, in cui racconta, tramite le parole di Dario Riccobono, la genesi e il senso di Addiopizzo e di Addiopizzo Travel, quali risposte costruttive ed efficaci al fenomeno mafioso!



Caro Diario, Dario Riccobono è un altro degli incontri ravvicinati di lavoro ben fatto che  bellissime connessioni che ho potuto costruire grazie a Join Maremma Online 2018. Lui era lì per raccontare Addiopizzo Travel, ma quelli come lui raccontano molto di più di quello che debbono raccontare, e come sai io quelli come lui non me li faccio scappare.
Senti come ha cominciato: «Diecimila anime. Poco distante dall’aeroporto e alle porte di una città di grande interesse storico-artistico, Palermo. La montagna che circonda il piccolo centro e cala a picco sul mare. Una lunga spiaggia sabbiosa. Gente accogliente e cucina prelibata. Gli ingredienti per fare di Capaci una rinomata località turistica ci sono tutti. Eppure il mio paese è conosciuto in tutto il mondo per nessuno di questi motivi. Capaci sarà per sempre il luogo in cui hanno ammazzato Giovanni Falcone, la moglie e i tre uomini di scorta.
Tanti giovani, troppi, fuggono in città senza vivere il paese. Mancanza di servizi, disattenzione per i ragazzi, cementificazione selvaggia, mancata valorizzazione delle risorse a parziale giustificazione di questa “fuga”.
“Palermo non mi piaceva, per questo ho cominciato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare.”
Così diceva Paolo Borsellino. Conoscere il proprio paese, imparare ad amarlo e impegnarsi per renderlo migliore. Questo è quello che ho cercato di fare fin da ragazzo, con dentro quella inquietudine che non mi dava pace.»
A te lo posso dire amico Diario, ma io questo “ragazzo” di 38 anni con una moglie e una figlia avevo deciso di raccontarlo già mentre facevamo il viaggio in auto dalla stazione a Borgo Magliano Resort, però mi sono imposto di ascoltarlo prima, e dopo c’è solo il suo racconto, leggilo che alla fine ritorno perché ti devo dire ancora un’altra cosa.

«Ciao Vincenzo, sono nato da genitori insegnanti, ho avuto un’infanzia felice nel mio paesino. Quando ero poco più che un bimbo, a Capaci ci si poteva ancora permettere di andare a scuola a piedi e trascorrere i pomeriggi in strada, a dare i calci ad un pallone, sognando di indossare un giorno la maglia dei nostri beniamini.
D’estate, invece, cambiava il nostro “stadio”: dalla strada ci spostavamo al mare, ma il pallone non ci abbandonava mai. Un vita normale di un ragazzino di provincia. Fino a quando non arrivò il 23 maggio del 1992.
Ai bordi di quel che rimaneva dell’autostrada che collegava l’aeroporto alla città di Palermo, dissi tra me e me che qualcosa andava fatta. Il non far nulla ci avrebbe reso complici di quei maledetti assassini, che proprio quel giorno, proprio nel mio paese, decisero di far saltare per aria Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.
 
Il 23 maggio del 1992 diventa il giorno che accende la rabbia di un’intera generazione di giovani. Una rabbia data dall’amore che un siciliano nutre verso la propria terra. La rabbia nel vedere il proprio paese associato alla mafia, PER SEMPRE.
L’amore verso una terra tanto splendida quanto martoriata, che ha bisogno del nostro impegno. Rabbia e amore, due facce della stessa medaglia.
Ma per tramutare questa rabbia in qualcosa di costruttivo, di utile per se stessi e per gli altri, c’è bisogno di un atto d’amore verso la propria terra.
Anni passati ad impegnarsi nel sociale, spesso a scapito degli studi, a cercare di valorizzare una terra che merita di essere conosciuta per altro. Risultati a volte scarsi, ma che riempiono di significato la vita di tanti ragazzi diventati cittadini un sabato di Maggio.
Va avanti più o meno così fino a quando non arriva Addiopizzo, la “medicina” che cura quella ferita sempre aperta, che ci permette di stare a posto con noi stessi, prima di ogni altra cosa. Di sapere di fare il proprio dovere, di non essere complici di una minoranza di vigliacchi che infanga una regione, un Paese intero, che massacra gli uomini migliori, che priva del futuro noi giovani uccidendo i nostri sogni e costringendoci a chinare il capo o lasciare la nostra amata Sicilia.
Addiopizzo, pur non nascendo sull’onda emotiva di una strage, ed essendo, proprio per questo forse, più forte, è sicuramente figlia di quella stagione.
Addiopizzo è un movimento che coinvolge migliaia di persone e che cerca, unendo e organizzando persone normali, di ricordare e onorare il sacrificio di persone come Falcone, che ha dato la propria vita facendo semplicemente il proprio dovere per una terra dove essere normali è il gesto più rivoluzionario.
Con l’idea del consumo critico antiracket, l’antimafia diventa strumento efficace, semplice e alla portata di tutti: coi nostri acquisti possiamo premiare e incoraggiare chi ha detto no al pizzo e incoraggiare chi non ha ancora trovato la forza di denunciare.
100, 200, 300 … i commercianti che credono alla campagna di Addiopizzo crescono sempre più, e con essi anche i consumatori pronti a sostenerli. E così tra una manifestazione e un esame dato all’università arriva il momento fatidico per ogni studente: la laurea.
Decido di lavorare ad una tesi di marketing turistico, studiando il caso dell’agriturismo sorto su beni confiscati alla mafia. Turismo e antimafia, due cose che, nella mia testa, possono stare assieme.
Il 23 maggio del 1992 diventa il giorno che accende la rabbia di un’intera generazione di giovani. Una rabbia data dall’amore che un siciliano nutre verso la propria terra. La rabbia nel vedere il proprio paese associato alla mafia, PER SEMPRE.
L’amore verso una terra tanto splendida quanto martoriata, che ha bisogno del nostro impegno. Rabbia e amore, due facce della stessa medaglia.
Ma per tramutare questa rabbia in qualcosa di costruttivo, di utile per se stessi e per gli altri, c’è bisogno di un atto d’amore verso la propria terra. Anni passati ad impegnarsi nel sociale, spesso a scapito degli studi, a cercare di valorizzare una terra che merita di essere conosciuta per altro. Risultati a volte scarsi, ma che riempiono di significato la vita di tanti ragazzi diventati cittadini un sabato di Maggio.
Va avanti più o meno così fino a quando non arriva Addiopizzo, la “medicina” che cura quella ferita sempre aperta, che ci permette di stare a posto con noi stessi, prima di ogni altra cosa. Di sapere di fare il proprio dovere, di non essere complici di una minoranza di vigliacchi che infanga una regione, un Paese intero, che massacra gli uomini migliori, che priva del futuro noi giovani uccidendo i nostri sogni e costringendoci a chinare il capo o lasciare la nostra amata Sicilia.
Addiopizzo, pur non nascendo sull’onda emotiva di una strage, ed essendo, proprio per questo forse, più forte, è sicuramente figlia di quella stagione.
Addiopizzo è un movimento che coinvolge migliaia di persone e che cerca, unendo e organizzando persone normali, di ricordare e onorare il sacrificio di persone come Falcone, che ha dato la propria vita facendo semplicemente il proprio dovere per una terra dove essere normali è il gesto più rivoluzionario.
Con l’idea del consumo critico antiracket, l’antimafia diventa strumento efficace, semplice e alla portata di tutti: coi nostri acquisti possiamo premiare e incoraggiare chi ha detto no al pizzo e incoraggiare chi non ha ancora trovato la forza di denunciare. 100, 200, 300 … i commercianti che credono alla campagna di Addiopizzo crescono sempre più, e con essi anche i consumatori pronti a sostenerli. E così tra una manifestazione e un esame dato all’università arriva il momento fatidico per ogni studente: la laurea.
Decido di lavorare ad una tesi di marketing turistico, studiando il caso dell’agriturismo sorto su beni confiscati alla mafia. Turismo e antimafia, due cose che, nella mia testa, possono stare assieme.
 
Come dici amico Diario? Questa storia ti è piaciuta un sacco? Pure a me. E non ti nascondo che l’idea della bellezza di Peppino Impastato la porto nel cuore da sempre, eppure ogni volta che la leggo mi commuovo, perché la bellezza davvero moltiplica le opportunità, rende le persone migliori, e noi che ne abbiamo tanta abbiamo la responsabilità di non sprecarla, perché la bellezza è cultura, è lavoro ben fatto, è lavoro buono. Dai, diamoci da fare, che questa storia qui bisogna farla girare fino all’infinito e oltre.